La tradizione del vetro soffiato bianco di Altare – Val Bormida
Nella raffinata cornice di Villa Rosa, in stile Liberty, si trova il museo dell’Arte vetraria di Altare, (nell’immagine sotto), espressione di un saper fare le cui radici risalgono al XII secolo ancora visibile nelle diverse botteghe delle “Soffierie” artistiche presenti nel tessuto urbano di questo borgo ligure dell’entroterra savonese, situato al confine tra la costa e gli appennini liguri e ingresso alle terre del Piemonte e della Lombardia.

La storia del vetro soffiato d’uso di Altare ha origini antiche, risale al periodo dell’alto Medioevo, per volere di alcuni monaci benedettini residenti sull’isola di Bergeggi che ospitarono dei monaci provenienti dall’Abbazia di Lérins in Francia, un arcipelago di isole di fronte all’attuale Cannes, conoscitori del segreto dell’arte vetraria. Fonti scritte confermano che in quel periodo esistevano stretti rapporti tra i centri di produzione vetraria e i monasteri, i quali utilizzavano il vetro per coprire e ornare, le grandi finestre delle abbazie e delle chiese. Alcuni di questi monaci vennero inviati nelle terre di Altare, ricche di legname, di sottobosco di felci, quarzite, silice, per insegnare la tecnica di lavorazione del vetro alle persone del luogo, favorendo, in questo modo, la formazione di una comunità di maestri vetrai locali addetti alla produzione di vetrate per le abbazie e chiese ma anche di oggetti di uso quotidiano. In seguito, questa comunità ampliò la produzione del vetro bianco iniziando a produrre, anche, oggetti per soddisfare la richiesta, da parte delle famiglie aristocratiche della Repubblica di Genova e del Marchesato di Finale, di vasellame prezioso per abbellire le mense dei loro palazzi con calici, bottiglie in vetro, lampadari e vasi, come richiedeva la moda di quell’epoca, “ à la façon d’Altare”.



La comunità dei maestri vetrai, assunse, nel tempo, un’importanza sociale ed economica significativa, formando nel basso Medioevo, la “Corporazione dei maestri Vetrai”, nella quale gli appartenenti ottennero il titolo di gentiluomo di Monsù. L’esclusività e l’importanza di questa corporazione era caratterizzata dal fatto che potevano accedervi solo i figli maschi delle famiglie del paese che si erano distinti in quest’arte e che venivano esentati dal pagare le gabelle.
Origini e formazione della “Corporazionedei maestri del vetro”
I primi statuti che hanno regolato i diritti e i doveri dei maestri vetrai risalgono alla fine del XV sec. e furono approvati sia dal marchese del Monferrato che dal marchesato di Savona, con i del Carretto, riconoscendo di fatto la Corporazione. Nel XV secolo i maestri vetrai erano considerati un’élite e godevano di privilegi eccezionali. Ad esempio, potevano avere ed esporre il proprio “blasone”, lo stemma di famiglia, nato come privilegio esclusivo della nobiltà feudale, ma che fu esteso, successivamente, anche a quella che venne chiamata la “nobiltà inferiore”, come i ricchi mercanti, i magistrati e a tutte quelle libere professioni che richiedevano competenza e ingegno, tra questi i maestri vetrai.
Durante il XVII secolo il territorio savonese fu colpito dalla peste che si concluse con il miracolo di San Rocco che liberò Altare dall’epidemia. A lui venne dedicata la chiesa di San Rocco di Altare grazie al contributo gratuito dei vetrai. La Corporazione dei vetrai visse periodi di floridità e altri meno, ma fu sciolta nel 1823 ad opera di Carlo Felice di Savoia che abolì tutti gli statuti e i privilegi che erano stati concessi ai maestri del vetro.
L’élite e i rituali dei “Monsù”
Nel XV secolo i vetrai erano considerati un’élite e godevano di privilegi eccezionali. Ad esempio, il “blasone”, che era una prerogativa esclusivo della nobiltà feudale, si estese anche alla “nobiltà inferiore”, come i ricchi mercanti, i magistrati e a tutte quelle libere professioni che richiedevano competenza e ingegno, tra questi i maestri vetrai. Fare vetro implicava nozioni tecniche, inventiva e abilità peculiari che venivano riconosciute. Ad essi, quindi, fu concesso, come ai nobili, di esporre pubblicamente gli stemmi di famiglia.
I maestri vetrai, ufficialmente appartenenti alla classe dei “Monsù”, erano soliti vivere in comunità ed erano guidati dal vetraio più anziano; ogni giovedì esisteva l’usanza, chiamata della “scodella delle anime” attraverso la quale si raccoglieva del denaro il cui ricavato veniva devoluto dal “consolato dell’arte” per opere di beneficenza e di pubblica utilità. Il periodo estivo era il momento di riposo, nel quale si riparavano le fornaci stesse e si faceva scorta del combustibile e di materie prime, mentre la lavorazione del vetro iniziava dal giorno di San Martino (11 novembre) fino a quello di San Giovanni Battista (24 giugno). Il primo giorno di inizio del lavoro delle fornaci era caratterizzato da una cerimonia particolare chiamata “Messa del fuoco” durante la quale all’interno della Parrocchia, il sacerdote benediceva due grossi ceri e li consegnava a due fanciulli, i quali, scortati dai consoli e dai maestri vetrai, arrivavano insieme alle fornaci dove veniva acceso il fuoco. Il primo lavoro eseguito, che inaugurava e festeggiava la nuova stagione di lavoro, era un fiasco molto grande che doveva essere riempito di vino e offerto con una grande torta di riso.
La nascita della prima Cooperativa operaia italiana industriale artistica: la S.A.V. di Altare
Il sentimento di dedizione e di passione per quest’arte e mestiere portò 84 maestri vetrai di Altare a fondare nel 1856 la S.A.V. (la Società artistico vetraria), la prima cooperativa operaia industriale italiana con un consiglio di amministrazione eletto dall’assemblea dei soci.
Tra i maestri vetrai di Altare, fondatore della S.A.V., che hanno reso famosa l’arte del vetro di Altare nel mondo non si può dimenticare di citare Dorino Bormioli, allievo del maestro Costantino Bormioli, che dopo aver lavorato in Grecia presso la Società Anonima Ellenica, rientra nella sua Altare e realizza il famoso “portaombrelli esagonale rosso rubino”, (nell’immagine sotto), su disegno del Professor Arnaldo Brodini, con il quale vinse il primo premio all’Esposizione Universale di Parigi nel 1939.

Questa cooperativa ebbe momenti positivi fino al suo inesorabile declino che la portò alla sua cessazione nel 1978; fortunatamente l’arte vetraria ad Altare non cessò fino a quando nel 1982 venne creato l’Istituto per lo Studio del Vetro e dell’arte vetraria (I.S.V.A.V.) con lo scopo di mantenere viva questa meravigliosa arte e la memoria dei suoi maestri. Dal 2004 presso l’incantevole edificio in stile Liberty di Villa Rosa, (nell’immagine sotto), è presente il Museo del vetro, nel quale si possono ammirare opere d’arte dal XVII secolo fino ai nostri giorni. Sono esposti vetri per l’uso farmaceutico, casalingo quotidiano, giochi e oggetti realizzati con la tecnica della soffiatura a mano insieme alle attrezzature per la loro lavorazione.

L’Altare Glass Fest: la rievocazione estiva della lavorazione del Vetro soffiato
Durante il perido estivo, da metà a fine luglio, l’Istituto per lo Studio del Vetro organizza un vero e proprio festival, l’Altare Glass Fest, chiamando a lavorare nella fornace del giardino di questa splendida villa vetrai esperti e artisti del vetro di fama internazionale. Si tengono inoltre conferenze appassionanti dove esperti e studiosi condividono le loro conoscenze sull’arte vetraria, permettendo di approfondire la conoscenza di questo antico mestiere.
Per informazioni, visite organizzate e accompagnate: inforitrattidiviaggio@gmail.com